Scritto per la pagina Facebook della rivista “sulla quarta corda”
La poesia dell’eco
Il pensiero, la conoscenza, la forza di volontà di un’ambizione che è la vita stessa; essere un artista significa tante cose: significa farsi tanti nemici, stare da soli nei rimorsi, nell’oscurità di un mondo difficile da accogliere e capire nel contesto di una società in cui ogni cosa è minimizzata in un continuo compra e vendi, in un mi piace o un non mi piace che riduce una vita ad un semplice gesto senza ritorno, distante, come le note che si perdono nel nulla.
Un sassofono si sente nell’aria, il suono è dentro una stanza buia, dentro un edificio decadente che si apre in echi continui dentro le sue stanze vuote. All’improvviso la musica si interrompe e un uomo seduto prende appunti su un foglio di pentagramma; non vi è un suono, tanto che ogni suo piccolo gesto si sente nitidamente già a qualche metro di distanza. Sul suo sassofono vi è un simbolo in kanji, 愛, il simbolo che è legato al significato di “amore”. Porta di nuovo alle labbra fine il prezioso strumento, un paio di note escono dolcemente, suoni poco coordinati, che si ripetono finché si sequenziano in una serie di suoni che echeggiano per tutta la struttura: un’eco che risuona e rimbalza sulle pareti e torna indietro come una risposta di un altro professionista della musica che accogliendo il messaggio lo restituisce in una cortesia tipica del popolo nipponico, a cui appartiene questo musicista.
Si ferma e prende appunti e poi ricomincia – altre note che prendono forma e si trasformano nell’aria e volano e rimbalzano tra le mura, nelle stanze vuote e abbandonate al tempo che ingordo le rosicchia atomo per atomo.
I gesti si ripetono più e più volte, finché, al suono del sassofono, improvvisamente non vi fu più nessuna risposta dall’eco… a parte un incomprensibile parola persa in chissà quale angolo. Alla risposta dell’eco, il sassofonista si mise per bene il leggio davanti e iniziò a suonare gli appunti che aveva scritto fino a qualche secondo prima. Non appena la brevissima esecuzione fu terminata, l’eco restituì come risposta non delle note ma delle parole:
私は彼らの中で死ぬ
私はあなたの目を見て
夏の夢
(muoio in essi
guardo i tuoi occhi
sogno d’estate)
Finite queste parole, l’uomo si alza, posa lo strumento delicatamente al suo fianco e dona un lungo inchino a quella risposta proveniente dal buio.
Lui sapeva già che cosa sarebbe accaduto; fuori, degli operai edili cliccano un bottone, un’esplosione… l’edificio si accartoccia su se stesso, in un profondo inchino di una notte d’estate, in cui non ci si ferma più a guardare la bellezza delle piccole cose che rendono la vita una poesia – no, si cliccano pulsanti, sorridendo e dimenticando il suono dell’eco della nostra anima
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